Castel Nanno è forse la costruzione più "italica" del Trentino, al punto che la leggenda vuole quale suo ideatore Andrea Palladio. La parte più antica dell'intera struttura voluta dalla famiglia Nanno (Enn), la torre diroccata sul lato nord-est, risale all'epoca medioevale. Alla metà del Cinquecento la famiglia Madruzzo modifica radicalmente l'originario aspetto di fortilizio di Castel Nanno, trasformandolo in una residenza estiva rinascimentale a base quadrata, col mastio centrale e quattro torrette agli angoli del muro di cinta. Gli interni sono costituiti da sale affrescate con soffitti in legno e una scalinata di pietra, con parapetto a colonnine, unisce i diversi piani dell'edificio. Il 16 giugno 1615 vi ebbe luogo un processo per stregoneria a carico di Vigilio e Maria Rosati di Romeno, e nel XVIII secolo vennero processate e condannate al rogo tre streghe: in una stanza al pianterreno del castello è visibile una pietra con tre croci incise, testimonianza del tragico evento che vi ebbe luogo. Attualmente il castello è di proprietà della nobildonna Carla Pazzi del Rio, che però non consente alcuna visita al luogo. Il che è un vero peccato, poiché all’interno il castello conserva pregevoli affreschi impreziositi da bellissimi soffitti lignei. Un'eccezione viene fatta in occasione della giornata in cui l'Associazione Dimore Storiche Italiane, in accordo con i proprietari, offre visite guidate a cura dell'APT.
La leggenda di Melisenda e Ludovico
I signori che abitavano Castel Nanno nel Medioevo avevano come rivale la famiglia di Castel Sporo. I due casati si odiavano a tal punto da ignorarsi anche quando venivano invitati alle feste che si svolgevano presso altri castelli. Un giorno al Conte di Nanno nacque un bellissima bimba, cui venne dato il nome di Melisenda. Il padre affidò la piccola a una brava bambinaia, e diede ordini affinchè, crescendo, avesse sempre vicino un bravo precettore che le insegnasse a odiare e respingere qualsiasi esponente della famiglia Sporo. Poi il padre si dimenticò totalmente la figlia, preso com’era da guerre e liti. Un giorno, i signori di Castel Belvesino diedero una grande festa, cui furono invitate entrambe le famiglie antagoniste. Per Castel di Nanno partecipò la giovane Melisenda, mentre per Castel Sporo si presentò un giovane, di nome Ludovico. Melisenda fu subito attratta da quel giovane così bello, e ballò con lui fino a notte tarda, non avendo la benchè minima idea di chi in realtà fosse. Alla fine Melisenda dichiarò il suo amore al giovane. Ludovico, rattristato, le spiegò chi fosse, e di come le rispettive famiglie si odiassero a tal punto da aver proibito qualsiasi contatto. Nessuno avrebbe mai acconsentito alle nozze tra i due giovani! Col cuore colmo di dolore, Melisenda rispose che il suo amore per Ludovico avrebbe superato mari e monti, e che nessuno avrebbe potuto mai separarla dal suo amato. Sarebbero stati assieme per sempre, vivi o morti. Per qualche tempo Ludovico e Melisenda si incontrarono di nascosto nel cuore della foresta, stando bene attenti che nessuno, soprattutto il Conte di Nanno, li sorprendesse. Purtroppo però nel bosco girovagava anche un losco personaggio, “il Guercio”, uomo maligno e perfido, ladro e pettegolo.
Egli stava nascosto tra i rami di un albero quando Melisenda e Ludovico s’incontrarono. Così vide e udì le promesse d’amore che i due giovani si scambiavano, e pensò di sfruttare la faccenda a proprio favore.
Corse a perdifiato dal Conte di Nanno e gli spifferò che la figlia si vedeva di nascosto con uno di Castel Sporo.
Il Conte partì subito alla volta della foresta, e il tragico destino volle che sorprendesse i due amanti abbracciati. Accecato dalla rabbia, fece catturare la figlia e il suo innamorato, li fece portare al castello e li rinchiuse nelle prigioni. Ordinò al boia di scavare nella parete di una cella una profonda nicchia, grande abbastanza per contenere due corpi da murare vivi.
Alcune versioni della leggenda dicono che i due sventurati vennero murati vivi in due piccole nicchie poste sotto la scala maggiore del castello, ma il risultato non cambia. Così finiva la tragica storia d’amore tra Ludovico e Melisenda.
Però, mentre il conte stava pensando come giustificare l’assenza di Melisenda, proprio mentre la luna di Maggio sorgeva per la seconda volta dopo la triste fine dei due amanti, dalle segrete del castello si alzarono delle urla strazianti. Un’acuta voce di donna, una profonda voce di uomo, che dalle profondità della terra urlavano a tutta la Val di Non la verità sul fosco dramma di Castel Nanno. E la storia venne udita in paese, e anche nei paesi vicini, e i monti ne rimandarono l’eco di valle in valle, chiedendo giustizia e vendetta per i due infelici innamorati.
Ancora oggi, il ricordo di questi sfortunati ragazzi sembra essere rimasto imprigionato in questo luogo. Nelle notti di Maggio, i pianti ed i lamenti riecheggiano cristallini per Castel Nanno, a perenne ricordo di quell’amore impossibile crudelmente spezzato.
La leggenda di Melisenda e Ludovico
I signori che abitavano Castel Nanno nel Medioevo avevano come rivale la famiglia di Castel Sporo. I due casati si odiavano a tal punto da ignorarsi anche quando venivano invitati alle feste che si svolgevano presso altri castelli. Un giorno al Conte di Nanno nacque un bellissima bimba, cui venne dato il nome di Melisenda. Il padre affidò la piccola a una brava bambinaia, e diede ordini affinchè, crescendo, avesse sempre vicino un bravo precettore che le insegnasse a odiare e respingere qualsiasi esponente della famiglia Sporo. Poi il padre si dimenticò totalmente la figlia, preso com’era da guerre e liti. Un giorno, i signori di Castel Belvesino diedero una grande festa, cui furono invitate entrambe le famiglie antagoniste. Per Castel di Nanno partecipò la giovane Melisenda, mentre per Castel Sporo si presentò un giovane, di nome Ludovico. Melisenda fu subito attratta da quel giovane così bello, e ballò con lui fino a notte tarda, non avendo la benchè minima idea di chi in realtà fosse. Alla fine Melisenda dichiarò il suo amore al giovane. Ludovico, rattristato, le spiegò chi fosse, e di come le rispettive famiglie si odiassero a tal punto da aver proibito qualsiasi contatto. Nessuno avrebbe mai acconsentito alle nozze tra i due giovani! Col cuore colmo di dolore, Melisenda rispose che il suo amore per Ludovico avrebbe superato mari e monti, e che nessuno avrebbe potuto mai separarla dal suo amato. Sarebbero stati assieme per sempre, vivi o morti. Per qualche tempo Ludovico e Melisenda si incontrarono di nascosto nel cuore della foresta, stando bene attenti che nessuno, soprattutto il Conte di Nanno, li sorprendesse. Purtroppo però nel bosco girovagava anche un losco personaggio, “il Guercio”, uomo maligno e perfido, ladro e pettegolo.
Egli stava nascosto tra i rami di un albero quando Melisenda e Ludovico s’incontrarono. Così vide e udì le promesse d’amore che i due giovani si scambiavano, e pensò di sfruttare la faccenda a proprio favore.
Corse a perdifiato dal Conte di Nanno e gli spifferò che la figlia si vedeva di nascosto con uno di Castel Sporo.
Il Conte partì subito alla volta della foresta, e il tragico destino volle che sorprendesse i due amanti abbracciati. Accecato dalla rabbia, fece catturare la figlia e il suo innamorato, li fece portare al castello e li rinchiuse nelle prigioni. Ordinò al boia di scavare nella parete di una cella una profonda nicchia, grande abbastanza per contenere due corpi da murare vivi.
Alcune versioni della leggenda dicono che i due sventurati vennero murati vivi in due piccole nicchie poste sotto la scala maggiore del castello, ma il risultato non cambia. Così finiva la tragica storia d’amore tra Ludovico e Melisenda.
Però, mentre il conte stava pensando come giustificare l’assenza di Melisenda, proprio mentre la luna di Maggio sorgeva per la seconda volta dopo la triste fine dei due amanti, dalle segrete del castello si alzarono delle urla strazianti. Un’acuta voce di donna, una profonda voce di uomo, che dalle profondità della terra urlavano a tutta la Val di Non la verità sul fosco dramma di Castel Nanno. E la storia venne udita in paese, e anche nei paesi vicini, e i monti ne rimandarono l’eco di valle in valle, chiedendo giustizia e vendetta per i due infelici innamorati.
Ancora oggi, il ricordo di questi sfortunati ragazzi sembra essere rimasto imprigionato in questo luogo. Nelle notti di Maggio, i pianti ed i lamenti riecheggiano cristallini per Castel Nanno, a perenne ricordo di quell’amore impossibile crudelmente spezzato.
Il nome di Castel Valer deriva con ogni probabilità dalla devozione per il santo vescovo Valerio di Treviri al quale fu intitolata in origine la cappella del castello eretta sul dosso castellare in un periodo anteriore all'erezione del castello.
La prima menzione nota del castello risale al 1297 quando ospitò la stipulazione di un negozio fra il dominus Adelpreto di Mezzo e il dominus Enrico II di Schenna. La giurisdizione di Valer subì nel corso del tempo vari passaggi di mano: venne conferita al duca Corrado di Teck attorno al 1340, nel 1361 al pievano di Tirolo Enrico di Bopfingen, nel 1368 a Federico di Greifenstein, per entrare definitivamente a far parte del patrimonio della famiglia Spaur all’inizio del XV secolo.
La forma del castello ha subito nel corso degli anni quella ottagonale del mastio, unico nell'arco alpino a forma ottagonale. La cinta muraria esterna atta segueil modello ottagonale imposto dalla torre antica racchiudendo l'intero complesso architettonico formato in realtà da due strutture: la più antica, risalente al XIV secolo, denominata Castel di sotto, e l'altrettanto antica ma del XVI secolo struttura di Castel di sopra. Nella porzione settentrionale del maniero, tra la cortina principale e quella esterna, si trova la cappella di S. Valerio interamente affrescata nel 1473 dai fratelli Giovanni e Battista Baschenis, pittori itineranti di origine bergamasca.
Gli affreschi, di grande vivacità cromatica, sono uno splendido esempio di pittura gotico-rinascimentale.
I BASCHENIS DE AVERARIA A CASTEL VALER IN VAL DI NON
Provenienti dalla Valle Averara, nelle vicinanze di Bergamo, la famiglia Baschenis è ricordata come un’importante dinastia di pittori itineranti molto produttivi che, sul finire del XV e per tutta la prima metà del XVI secolo, lavorò in tutta l’area del Trentino occidentale.
Gli appartenenti a questa dinastia, almeno una decina secondo le testimonianze, erano soliti spostarsi e trascorrere molti mesi nelle diverse valli trentine, ospitati di volta in volta dalle diverse comunità presso cui operavano. Dipingevano soprattutto interni ed esterni di chiese e cappelle con temi cari all’iconografia del tempo: in primo luogo raffigurazioni di Padri della Chiesa, Evangelisti e scene tratte dal Nuovo Testamento.
L’arte dei Baschenis si inseriva perfettamente nella logica didattica della biblia pauperorum, la "Bibbia dei poveri".
Gli ecclesiasti dell’epoca ritenevano infatti che il popolo analfabeta andasse educato principalmente attraverso immagini molto espressive che insegnassero i concetti fondamentali della religione cristiana.
Proprio nell’intento di essere più diretta possibile, la pittura dei Baschenis è stilisticamente molto semplice senza elaborati effetti prospettici e cromaticamente preferisce i colori accesi alle sfumature ricercate spesse volte smorzate dall'apposizione di una stampigliatura decorativa sulle vesti delle figure dipinte, prerogativa tecnica quasi esclusiva del primo periodo della produzione artistica dei due vivaci pittori del Quattrocento.
In Val di Non i Baschenis furono attivi soprattutto tra il 1465 e il 1504. Potrete ammirare gli affreschi di questa famosa dinastia di pittori a:
Corte Inferiore di Rumo, Chiesa di San Udalrico: all’interno ampio affresco dell’Ultima Cena, datata 1471, dei fratelli Antonio e Angelo Baschenis, assieme con i figli Giovanni e Battista.
Flavon: Chiesa della Natività di S. Giovanni Battista, ciclo di affreschi lungo l’abside dedicati al santo realizzati dai fratelli Giovanni e Battista (1485).
Segonzone: Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo
Cunevo: Chiesa di San Lorenzo affrescata da Giovanni Baschenis
Castel Valer (Tassullo): cappella di San Valerio affrescata da Giovanni e Battista (1496)
Denno: decorazioni della Chiesa di San Pietro di Giovanni Battista
Cles: Chiesa di San Vigilio pitture murali di Giovanni e Battista di fine ‘400
Terres: Chiesa di San Giorgio
Dardine: Chiesa di San Marcello
Tres: Chiesa di Santa Agnese
Vervò: Chiesa di San Martino
Pavillo: Chiesa di San Paolo
Cavareno: Chiesa SS. Fabiano e Sebastiano
La prima menzione nota del castello risale al 1297 quando ospitò la stipulazione di un negozio fra il dominus Adelpreto di Mezzo e il dominus Enrico II di Schenna. La giurisdizione di Valer subì nel corso del tempo vari passaggi di mano: venne conferita al duca Corrado di Teck attorno al 1340, nel 1361 al pievano di Tirolo Enrico di Bopfingen, nel 1368 a Federico di Greifenstein, per entrare definitivamente a far parte del patrimonio della famiglia Spaur all’inizio del XV secolo.
La forma del castello ha subito nel corso degli anni quella ottagonale del mastio, unico nell'arco alpino a forma ottagonale. La cinta muraria esterna atta segueil modello ottagonale imposto dalla torre antica racchiudendo l'intero complesso architettonico formato in realtà da due strutture: la più antica, risalente al XIV secolo, denominata Castel di sotto, e l'altrettanto antica ma del XVI secolo struttura di Castel di sopra. Nella porzione settentrionale del maniero, tra la cortina principale e quella esterna, si trova la cappella di S. Valerio interamente affrescata nel 1473 dai fratelli Giovanni e Battista Baschenis, pittori itineranti di origine bergamasca.
Gli affreschi, di grande vivacità cromatica, sono uno splendido esempio di pittura gotico-rinascimentale.
I BASCHENIS DE AVERARIA A CASTEL VALER IN VAL DI NON
Provenienti dalla Valle Averara, nelle vicinanze di Bergamo, la famiglia Baschenis è ricordata come un’importante dinastia di pittori itineranti molto produttivi che, sul finire del XV e per tutta la prima metà del XVI secolo, lavorò in tutta l’area del Trentino occidentale.
Gli appartenenti a questa dinastia, almeno una decina secondo le testimonianze, erano soliti spostarsi e trascorrere molti mesi nelle diverse valli trentine, ospitati di volta in volta dalle diverse comunità presso cui operavano. Dipingevano soprattutto interni ed esterni di chiese e cappelle con temi cari all’iconografia del tempo: in primo luogo raffigurazioni di Padri della Chiesa, Evangelisti e scene tratte dal Nuovo Testamento.
L’arte dei Baschenis si inseriva perfettamente nella logica didattica della biblia pauperorum, la "Bibbia dei poveri".
Gli ecclesiasti dell’epoca ritenevano infatti che il popolo analfabeta andasse educato principalmente attraverso immagini molto espressive che insegnassero i concetti fondamentali della religione cristiana.
Proprio nell’intento di essere più diretta possibile, la pittura dei Baschenis è stilisticamente molto semplice senza elaborati effetti prospettici e cromaticamente preferisce i colori accesi alle sfumature ricercate spesse volte smorzate dall'apposizione di una stampigliatura decorativa sulle vesti delle figure dipinte, prerogativa tecnica quasi esclusiva del primo periodo della produzione artistica dei due vivaci pittori del Quattrocento.
In Val di Non i Baschenis furono attivi soprattutto tra il 1465 e il 1504. Potrete ammirare gli affreschi di questa famosa dinastia di pittori a:
Corte Inferiore di Rumo, Chiesa di San Udalrico: all’interno ampio affresco dell’Ultima Cena, datata 1471, dei fratelli Antonio e Angelo Baschenis, assieme con i figli Giovanni e Battista.
Flavon: Chiesa della Natività di S. Giovanni Battista, ciclo di affreschi lungo l’abside dedicati al santo realizzati dai fratelli Giovanni e Battista (1485).
Segonzone: Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo
Cunevo: Chiesa di San Lorenzo affrescata da Giovanni Baschenis
Castel Valer (Tassullo): cappella di San Valerio affrescata da Giovanni e Battista (1496)
Denno: decorazioni della Chiesa di San Pietro di Giovanni Battista
Cles: Chiesa di San Vigilio pitture murali di Giovanni e Battista di fine ‘400
Terres: Chiesa di San Giorgio
Dardine: Chiesa di San Marcello
Tres: Chiesa di Santa Agnese
Vervò: Chiesa di San Martino
Pavillo: Chiesa di San Paolo
Cavareno: Chiesa SS. Fabiano e Sebastiano
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