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Quello di oggi è un giro storico e panoramico che ripercorre siti della prima guerra mondiale ma anche luoghi più antichi come le rovine del castello di Mori e la chiesa di Sant'Apollonia, di epoca medioevale. Si parte da un parcheggio di Mori situato all'inizio di Via Don Sturzo non prima di aver fatto un moment coffee alla gelateria-pasticceria Bologna. Raggiungiamo subito la chiesetta di Montalbano e le rovine del castello per il sentiero 670. Giungiamo quindi a Nomesino (paesino di 100 abitanti) dove è prevista la sosta pranzo convenzionata con possibilità di locale caldo anche per chi fa la sosta al sacco. Proseguiamo per Manzano, poi una breve disgressione per vedere da vicino la bellissima chiesetta medioevale di Sant'Apollonia e infine scendiamo per il senter de le Laste (o Lasta) modificando la parte finale con il sentiero delle trincee che, in pratica, ci fa camminare esattamente in trincea come fecero gli autroungarici cento anni fa. Ed il giro si chiude ad anello a Mori. Un po' di storia e di etimologia.
La pronuncia corretta è Móri, con la o chiusa, nonostante la radice del nome si trovi nella parola "mòra", con la o aperta. Il nome viene tradizionalmente associato ai "mori" (dal latino morus alba, pianta produttrice di more), cioè al gelso. Intenso è stato l'allevamento dei bachi da seta fin dal XV° secolo, alimentati appunto con le foglie dei gelsi. Attualmente il Comune consta di circa 9500 ab. sparsi tra 13 frazioni (tra cui Manzano, Nomesino e Pannone in Val di Gresta). Simbolo della borgata è il santuario di Montalbano di Mori, situato nei pressi dei ruderi del castello omonimo, posti un centinaio di metri più in alto della quota del paese. Mori, e la Valle del Càmeras in genere, per la sua particolare situazione geografica fu naturale via di collegamento tra le regioni atesina e gardesana e quindi abitata e frequentata già in epoca preistorica. Notevoli stazioni preistoriche si distribuiscono tutto attorno al centro abitato come a Castel Corno sulle pendici nord orientali del Monte Giovo, alla Caverna del Colombo, al castelliere di Monte Albano. Ritrovamenti che vanno dal neolitico all'età del bronzo. Profonda anche la romanizzazione, che si sovrappose ad una radicata e secolare celtizzazione, ancora riconoscibile nella toponomastica. Mori appare per la prima volta documentatamente già nell'845. Nel Medioevo la zona fu soggetta ai Castelbarco di Monte Albano. Quindi fu occupata dai Veneziani nel 1439, quando già dal 1411 Brentonico, Ala, Avio e poi la stessa Rovereto, erano stati ceduti nelle loro mani. Diventò così uno dei Quattro Vicariati, zone così dette dai vicari che vi amministravano la giustizia. Questa entità secolare, retta da statuti, armonizzò l'unità socioeconomica della regione. La sua soppressione, nel 1810, comportò l'istituzione di un giudice di pace anche a Mori, che poi divenne sede di giudizio distrettuale fino al 1923. Religiosamente, economicamente e politicamente Mori rappresentò il centro di convergenza di Brentonico e della Valle di Gresta. Questo suo ruolo le apportò un certo benessere, evidenziato dal fiorire di imprese artigianali e commerciali. Màsere dei tabacchi (essiccatoi), filande, la viticoltura con le relative lavorazioni, la commercializzazione dei marmi estratti a Castione, sono tutte attività che fiorirono a Mori a partire dal XVIII secolo.Nel 1891 venne inaugurata la ferrovia MoriArcoRiva. Essa diede un forte impulso alle attività economiche di Mori, quindi alla commercializzazione dei prodotti dell'attività agricola e artigianale.
Costruito nel 1556 in zona panoramica e pittoresca su devozione della comunità di Mori, ai piedi dei ruderi dell’antico castello distrutto dai Veneziani nel 1439, il Santuario di Montalbano dedicato alla Madonna dell’Annunziata, domina la vallata e protegge spiritualmente la borgata di Mori. Il Santuario, da sempre, ha accolto generazioni e generazioni di pellegrini che sono saliti in questo luogo per chiedere grazie alla Madonna: chi per la famiglia, chi per il lavoro, chi per la salute, chi per il raccolto. Anche se il Castello di Albano è andato distrutto, non si sono perse alcune delle sue leggende. Secondo la più nota, il maniero sarebbe stato collegato con un passaggio sotterraneo al Palazzo Salvotti di Mori. Il tunnel si sarebbe aperto in corrispondenza di alcune caverne visibili oggi sotto la rupe, ossia dove s'innalzava il mastio. La caverna era un tempo abitata dal Barbàz, un mostro a sembianze umane, lì posto a guardia di un tesoro. Le caverne furono impiegate come ricovero dagli austriaci nel corso della guerra 1915-18, come riparo dalle cannonate che gli Italiani sparavano dal Monte Zugna sulle linee attorno alla borgata.
I paesi di Manzano e Nomesino, messi insieme, contano circa 200 abitanti (scarsi).
Secondo gli Atti Visitali la chiesa di Sant’Apollonia dovrebbe risalire alla prima metà del Seicento, entro il 1646, eretta per volere di Paolo Vettori, di nobile famiglia locale, che ne era proprietario e ne deteneva il diritto di patronato. Secondo la tradizione invece la chiesetta sarebbe stata costruita nel XV secolo dagli abitanti di Corniano sfuggiti ad una pestilenza che cancellò il paese e per questo sarebbe simile nella struttura alla più antica chiesa di Sant’Agata, appunto in località Corniano. Risale comunque al secondo quarto del secolo l'apparato stucchivo dell'altare. La visita pastorale del 23 giugno 1683, che per la prima volta tocca la chiesa, constata che l’edificio possiede un unico altare, manca della sacrestia e viene aperto una sola volta l’anno, il giorno di Sant’Apollonia. E’custodito da Paolo Vettori, discendente dell’omonimo promotore della costruzione. Nel 1703 le truppe francesi del generale Vendôme trafugarono le campane. La successiva visita del 1709 prescrisse di ripulire il terreno circostante da piante e frasche che favorivano il danneggiamento della chiesa per l’umidità e di riparare il tetto. La famiglia proprietaria della chiesa provvide a ristrutturarla tra il 1827 e il 1839; i visitatori vescovili del 1827 ordinarono il divieto di immagazzinare al suo interno attrezzi o generi alimentari. Nel 1904 il curato di Manzano lamentava all’Ordinariato vescovile di Trento l’incuria in cui la chiesetta era nuovamente caduta; i proprietari non si accordavano per il restauro e negli ultimi due anni il sacerdote aveva trasferito la funzione della festa patronale alla curazia di Manzano. Sembra che l’intervento sia avvenuto entro il 1911. All’epoca esisteva una tettoia o un portico di protezione davanti all’ingresso, sostenuto dai due pilastrini oggi rovesciati sotto le due finestre, che venne demolito in epoca imprecisata. Nel corso del 1973 fu restaurato il tetto, grazie ad un contributo economico della Provincia Autonoma di Trento. Risale al 5 febbraio 1974 la relazione tecnico-illustrativa del geometra Corrado Sterni sui lavori di restauro ancora necessari, cioè l’intonacatura del fronte sud-est, la sistemazione dell’altare, manomesso da un intervento del 1930, la raschiatura dell’intonaco vecchio e la realizzazione di una nuova intonacatura a calce, la posa del pavimento del campanile in battuto di cemento, la realizzazione di quattro serramenti in legno per le finestre, il restauro della porta d’ingresso, lo scrostamento con acidi del colore steso sui pilastri di sostegno della chiesa.
La chiesa di S. Maria in Binde (o Bindis) si ritiene sia il più antico monumento esistente nella borgata e si trova nella piazza di Mori Vecchio o Binde. La chiesa fu eretta , forse, sui ruderi di un tempio pagano , fu smantellata avanti la guerra mondiale per dare luogo alla nuova chiesa. Ha un bel campanile in cotto veronese, uguale a quello di S.Maria Antica di Verona, dove vi sono le tombe scaligere. Fu ricostruita nel 1880 al posto dell'antica. Sul finire del secolo XIX° fu seriamente danneggiata da una alluvione e poi demolita. L'attuale fu ricostruita nel 1904. Don Giovanni Bazzanella da Mori (morto il 7 gennaio 1906) fu il primo beneficiario Salvotti per la Chiesa di S.Maria a Bindis. L'unico altare dedicato alla Madonna Assunta è stato riportato dalla vecchia chiesetta. Le parti scalfite furono poi rifatte a stucco e sotto l'orlatura del cimitero si legge: "Franciscus Barzella Nagi hoc altare Mariae ad Indis donat Virgo memento mei XV aug.MDCCLI". La statua della Madonna è di esemplare espressione (è una nicchia).