2015-08-08 Chiese, Musei e Palazzi in Val di Non
SAN ZENO
Dall’Oriente in Occidente I santi Sisinio, Martirio e Alessandro martiri in Val di Non
Dall’Oriente in Occidente I santi Sisinio, Martirio e Alessandro martiri in Val di Non
La Basilica dei Santi Martiri
Casa De Gentili
Imponente e austera, Casa De’Gentili sorveglia, con la sua mole, l’intera piazza principale del comune di
Sanzeno da settentrione.
L’equilibrio degli elementi architettonici e la preziosità degli interni rendono questa antica costruzione uno dei
palazzi signorili di più alto valore per la Val di Non.
LA STORIA
Per lungo tempo di proprietà della famiglia Gentili di Sanzeno, la residenza fu costruita nel XVI secolo, non più
tardi del 1569, come attesta un’antica incisione, e venne rimodellata per tutto il corso del XVII secolo, fino ad
essere trasformata in un’ elegante villa gentilizia caratterizzata da archi a tutto sesto, portoni decorati, diverse
trifore e un poggiolo in pietra lavorata ed elaborate inferiate.
Il vero tesoro di Casa De’Gentili è conservato tuttavia al suo interno con un’ invidiabile collezione di mobili e
utensili d’epoca.
In primo luogo un folto numero di accessori d’uso quotidiano databili tra il XVII e il XIX secolo, tra cui alcune
preziose cassapanche e una serie di acquarelli con soggetto le residenze castellane della Val di Non.
Particolarmente curioso è l’ambiente della farmacia-erboristeria appartenuta all’ultimo discendente dei De’Gentili
comprendente un giardino con varie piante officinali, il banco da farmacista e una ricca biblioteca.
Casa de' Gentili, da poco restaurata, è oggi di nuovo aperta al pubblico e ospita mostre ed esposizioni
temporanee.
PERCORSO MULTIMEDIALE - VETRINA DELLA VAL DI NON.
Il percorso si compone di quattro sezioni così articolate: Introduzione, La Valle in Volo, “Ritratti del Territorio”,
“Scopri i colori del territorio”.
Al termine del percorso, che dura dai 45 ai 60 minuti, il visitatore avrà una panoramica sufficientemente esaustiva
della Val di Non, sia sotto il profilo geografico-territoriale, che sotto quello storico e culturale.
Per maggiori informazioni:
Comune di Sanzeno
tel. 0463 434167
[email protected]
Imponente e austera, Casa De’Gentili sorveglia, con la sua mole, l’intera piazza principale del comune di
Sanzeno da settentrione.
L’equilibrio degli elementi architettonici e la preziosità degli interni rendono questa antica costruzione uno dei
palazzi signorili di più alto valore per la Val di Non.
LA STORIA
Per lungo tempo di proprietà della famiglia Gentili di Sanzeno, la residenza fu costruita nel XVI secolo, non più
tardi del 1569, come attesta un’antica incisione, e venne rimodellata per tutto il corso del XVII secolo, fino ad
essere trasformata in un’ elegante villa gentilizia caratterizzata da archi a tutto sesto, portoni decorati, diverse
trifore e un poggiolo in pietra lavorata ed elaborate inferiate.
Il vero tesoro di Casa De’Gentili è conservato tuttavia al suo interno con un’ invidiabile collezione di mobili e
utensili d’epoca.
In primo luogo un folto numero di accessori d’uso quotidiano databili tra il XVII e il XIX secolo, tra cui alcune
preziose cassapanche e una serie di acquarelli con soggetto le residenze castellane della Val di Non.
Particolarmente curioso è l’ambiente della farmacia-erboristeria appartenuta all’ultimo discendente dei De’Gentili
comprendente un giardino con varie piante officinali, il banco da farmacista e una ricca biblioteca.
Casa de' Gentili, da poco restaurata, è oggi di nuovo aperta al pubblico e ospita mostre ed esposizioni
temporanee.
PERCORSO MULTIMEDIALE - VETRINA DELLA VAL DI NON.
Il percorso si compone di quattro sezioni così articolate: Introduzione, La Valle in Volo, “Ritratti del Territorio”,
“Scopri i colori del territorio”.
Al termine del percorso, che dura dai 45 ai 60 minuti, il visitatore avrà una panoramica sufficientemente esaustiva
della Val di Non, sia sotto il profilo geografico-territoriale, che sotto quello storico e culturale.
Per maggiori informazioni:
Comune di Sanzeno
tel. 0463 434167
[email protected]
Chiesa di Santa Maria
Sulla strada verso S. Romedio, S. Maria è documentata come ospizio, detto di S. Marta e retto dagli Agostiniani dal 1236 al 1283, il che lascia supporre che l’edificio preesistesse, come casa destinata ai pellegrini, vuoi di Sanzeno, vuoi di S. Romedio. Nel 1244, chiesa ed ospizio passarono in possesso del convento degli Agostiniani di S. Maria Coronata sopra Denno. Nel 1283 ospizio e convento vennero infine trasferiti in possesso di fra Corrado da Tscheves dell’Ordine Teutonico. Chiesa ed ospizio vennero perciò chiusi, a causa probabilmente anche dello scemare del numero dei pellegrini che transitavano da queste parti. Tant’è che il vescovo Bernardo Clesio, in visita pastorale a Sanzeno nel 1537, trovò la chiesa di S. Maria in stato deplorevole e pietoso. Istituita nel 1553 la Confraternita del S. Rosario (nel 1606 questa venne approvata dal padre maestro generale dell’Ordine Domenicano; alcuni cappellani di Sanzeno, dal 1587 al 1590, furono frati domenicani: si capisce allora la presenza di motivi iconografici propri di questo ordine nella chiesetta, così come la stesa devozione al santo rosario), fu da questa a spese proprie restaurata e ampliata. A quest’epoca risale il portoncino rinascimentale in pietra bianca d’entrata. Fu quindi riconsacrata dal cardinale Madruzzo il 16 novembre 1616. Il campanile risale al 1747.
Dell’antica struttura conserva quindi solo poche vestigia, alcune delle quali emerse dopo recenti restauri (alcuni portali ormai murati, come quello visibile all’esterno, sulla parete ovest dell’attuale sacrestia).
All’interno fanno bella mostra di sé tre altari lignei finemente intagliati e decorati (e, purtroppo, depredati nel corso dei secoli…). Il maggiore, attribuito alla scuola di Simone Ramus (seconda metà del sec. XVII), è dedicato alla Madonna del Rosario, quello a sinistra al sogno di S. Giuseppe (la tela è di Antonio Zeni, 1678), e quello a destra ai genitori della Madonna, Gioacchino ed Anna (pittore ignoto, sec. XVII).
Il paliotto di cuoio punzonato e dipinto ad olio, inserito nel 1998 nell’altare di S. Giuseppe, si trovava nella basilica dei Santi Martiri, originariamente nella cappella delle reliquie, quindi antipendio dell’altare principale. È opera di maestranze venete o trentine, e risale a dopo il 1640. All’interno di una cornice lignea a fregi vegetali (probabile opera di Simone Lenner), sono dipinte le figure dei tre Martiri, collocate entro nicchie, tutti e tre con la dalmatica e la palma del martirio in mano, mentre solo Sisinio porta il segno iconografico proprio (il calice; ma poi è raffigurato inspiegabilmente imberbe, quasi il più giovane dei tre).
Il secondo paliotto del precedente altare della Basilica, è stato invece inserito nell’altare dei santi Gioacchino e Anna. Rappresenta la scena dell’Annunciazione, ed è attribuito alla bottega del Bezzi (olio su tela, seconda metà del sec. XVII).
Attualmente conservati in sacrestia, mentre in origine erano ai lati dell’altare centrale, sono altri due quadri: un “S. Francesco che riceve le stimmate” (ignoto, secolo XVII), e un “S. Antonio di Padova con Gesù bambino in braccio” (ignoto, secolo XVII-XVIII).
La presenza di questi due santi francescani si può forse spiegare da vari punti di vista. Intanto, nella Basilica dei Martiri, consta che all’inizio del XVII secolo vi fosse, alla destra di chi entra dal portone principale, un altare dedicato alla SS. Trinità e a S. Francesco. Poi, nel 1637 (ma non sappiamo per quanti anni l’usanza durò), viene introdotto il pellegrinaggio nella festa di S. Antonio di Padova, da Sanzeno alla chiesa dei frati minori di Cles, dedicata appunto a questo santo. Nel 1718 risulta regolarmente eretto in Sanzeno il Terz’Ordine Francescano. Dal 1574, infine, al 1579, risultano “cappellani” a Sanzeno, quattro frati minori conventuali: fra Matteo da Padova, fra Lorenzo da Novi, fra Benedetto e fra Paolo Pagani (nella tela di S. Antonio di Padova, questi è vestito con l’abito proprio dei conventuali, ed è raffigurato avendo sullo sfondo la famosa e riconoscibilissima basilica di Padova, officiata allora come ora da questo ordine).
Altre Foto
Sulla strada verso S. Romedio, S. Maria è documentata come ospizio, detto di S. Marta e retto dagli Agostiniani dal 1236 al 1283, il che lascia supporre che l’edificio preesistesse, come casa destinata ai pellegrini, vuoi di Sanzeno, vuoi di S. Romedio. Nel 1244, chiesa ed ospizio passarono in possesso del convento degli Agostiniani di S. Maria Coronata sopra Denno. Nel 1283 ospizio e convento vennero infine trasferiti in possesso di fra Corrado da Tscheves dell’Ordine Teutonico. Chiesa ed ospizio vennero perciò chiusi, a causa probabilmente anche dello scemare del numero dei pellegrini che transitavano da queste parti. Tant’è che il vescovo Bernardo Clesio, in visita pastorale a Sanzeno nel 1537, trovò la chiesa di S. Maria in stato deplorevole e pietoso. Istituita nel 1553 la Confraternita del S. Rosario (nel 1606 questa venne approvata dal padre maestro generale dell’Ordine Domenicano; alcuni cappellani di Sanzeno, dal 1587 al 1590, furono frati domenicani: si capisce allora la presenza di motivi iconografici propri di questo ordine nella chiesetta, così come la stesa devozione al santo rosario), fu da questa a spese proprie restaurata e ampliata. A quest’epoca risale il portoncino rinascimentale in pietra bianca d’entrata. Fu quindi riconsacrata dal cardinale Madruzzo il 16 novembre 1616. Il campanile risale al 1747.
Dell’antica struttura conserva quindi solo poche vestigia, alcune delle quali emerse dopo recenti restauri (alcuni portali ormai murati, come quello visibile all’esterno, sulla parete ovest dell’attuale sacrestia).
All’interno fanno bella mostra di sé tre altari lignei finemente intagliati e decorati (e, purtroppo, depredati nel corso dei secoli…). Il maggiore, attribuito alla scuola di Simone Ramus (seconda metà del sec. XVII), è dedicato alla Madonna del Rosario, quello a sinistra al sogno di S. Giuseppe (la tela è di Antonio Zeni, 1678), e quello a destra ai genitori della Madonna, Gioacchino ed Anna (pittore ignoto, sec. XVII).
Il paliotto di cuoio punzonato e dipinto ad olio, inserito nel 1998 nell’altare di S. Giuseppe, si trovava nella basilica dei Santi Martiri, originariamente nella cappella delle reliquie, quindi antipendio dell’altare principale. È opera di maestranze venete o trentine, e risale a dopo il 1640. All’interno di una cornice lignea a fregi vegetali (probabile opera di Simone Lenner), sono dipinte le figure dei tre Martiri, collocate entro nicchie, tutti e tre con la dalmatica e la palma del martirio in mano, mentre solo Sisinio porta il segno iconografico proprio (il calice; ma poi è raffigurato inspiegabilmente imberbe, quasi il più giovane dei tre).
Il secondo paliotto del precedente altare della Basilica, è stato invece inserito nell’altare dei santi Gioacchino e Anna. Rappresenta la scena dell’Annunciazione, ed è attribuito alla bottega del Bezzi (olio su tela, seconda metà del sec. XVII).
Attualmente conservati in sacrestia, mentre in origine erano ai lati dell’altare centrale, sono altri due quadri: un “S. Francesco che riceve le stimmate” (ignoto, secolo XVII), e un “S. Antonio di Padova con Gesù bambino in braccio” (ignoto, secolo XVII-XVIII).
La presenza di questi due santi francescani si può forse spiegare da vari punti di vista. Intanto, nella Basilica dei Martiri, consta che all’inizio del XVII secolo vi fosse, alla destra di chi entra dal portone principale, un altare dedicato alla SS. Trinità e a S. Francesco. Poi, nel 1637 (ma non sappiamo per quanti anni l’usanza durò), viene introdotto il pellegrinaggio nella festa di S. Antonio di Padova, da Sanzeno alla chiesa dei frati minori di Cles, dedicata appunto a questo santo. Nel 1718 risulta regolarmente eretto in Sanzeno il Terz’Ordine Francescano. Dal 1574, infine, al 1579, risultano “cappellani” a Sanzeno, quattro frati minori conventuali: fra Matteo da Padova, fra Lorenzo da Novi, fra Benedetto e fra Paolo Pagani (nella tela di S. Antonio di Padova, questi è vestito con l’abito proprio dei conventuali, ed è raffigurato avendo sullo sfondo la famosa e riconoscibilissima basilica di Padova, officiata allora come ora da questo ordine).
Altre Foto
Chiesa di Sant'Alessandro
La chiesetta, dedicata al più giovane dei tre Martiri, sarebbe eretta secondo la tradizione sul luogo dove sorgeva la cappella e l’abitazione dei missionari venuti dalla Cappadocia. È una costruzione romanica di estrema semplicità, allo stato attuale abbastanza manomessa e rovinata (a causa anche del progressivo abbandono e di alcuni interventi scriteriati effettuati nel passato, che ne hanno cancellato, dicono le fonti, la “vetustità”). Sulla facciata sono venuti alla luce di recente un S. Cristoforo monumentale (come è caratteristico sulla facciata di molte chiese, alpine e non, dato che la sua visione, possibile appunto anche da lontano, era beneaugurate per il pellegrino o il semplice fedele; ricordiamo che S. Cristoforo è considerato patrono dei “viaggiatori”) e una Madonna in trono, il primo più vicino al gotico e il secondo ancora al romanico. All’interno si scorgono tracce ormai illeggibili di altri affreschi (tra cui un “Ecce Homo” del XVII secolo originariamente all'esterno della chiesa, lungo la parete ad ovest, e alcune iscrizioni del XIV secolo).
Sempre all’interno è una statua lignea di S. Alessandro, offerta nel 1900 dalla gioventù di Sanzeno, e una pala, forse ancona dell’altare ormai scomparso, raffigurante sempre S. Alessandro (pittore ignoto, sec. XVII-XVIII).
La chiesetta, dedicata al più giovane dei tre Martiri, sarebbe eretta secondo la tradizione sul luogo dove sorgeva la cappella e l’abitazione dei missionari venuti dalla Cappadocia. È una costruzione romanica di estrema semplicità, allo stato attuale abbastanza manomessa e rovinata (a causa anche del progressivo abbandono e di alcuni interventi scriteriati effettuati nel passato, che ne hanno cancellato, dicono le fonti, la “vetustità”). Sulla facciata sono venuti alla luce di recente un S. Cristoforo monumentale (come è caratteristico sulla facciata di molte chiese, alpine e non, dato che la sua visione, possibile appunto anche da lontano, era beneaugurate per il pellegrino o il semplice fedele; ricordiamo che S. Cristoforo è considerato patrono dei “viaggiatori”) e una Madonna in trono, il primo più vicino al gotico e il secondo ancora al romanico. All’interno si scorgono tracce ormai illeggibili di altri affreschi (tra cui un “Ecce Homo” del XVII secolo originariamente all'esterno della chiesa, lungo la parete ad ovest, e alcune iscrizioni del XIV secolo).
Sempre all’interno è una statua lignea di S. Alessandro, offerta nel 1900 dalla gioventù di Sanzeno, e una pala, forse ancona dell’altare ormai scomparso, raffigurante sempre S. Alessandro (pittore ignoto, sec. XVII-XVIII).
Il modo più suggestivo per raggiungere il Santuario di San Romedio è sicuramente attraverso l'itinerario nella
roccia realizzato sul tracciato di un antico canale irriguo ottocentesco che parte dal Museo Retico di Sanzeno.
L’itinerario ha inizio proprio di fronte all’edificio che ospita il Museo Retico, a nord dell’abitato di Sanzeno, dove è
possibile posteggiare l’auto. Dal lato opposto della strada statale si diparte una passerella in legno che dopo aver
costeggiato in parte le campagne coltivate a meleto penetra nella roccia percorrendo l’intero percorso dell’antico
canale irriguo.
La passeggiata si sviluppa in parte nella roccia e in parte su passerella di legno. E' una delle più
caratteristiche passeggiate in Trentino, alla portata di tutti: per vacanze con bambini, famiglie e anziani.
La lunghezza complessiva è di 2,5 chilometri. Alcuni scorci visti da questo “tunnel” aperto sullo strapiombo sono
veramente da non perdere e danno la sensazione di essere parte della roccia madre.
Il percorso termina nei pressi dell’VIII stazione della bella Via Crucis marmorea che da Sanzeno conduce sino al
santuario; da qui si continua ancora per pochi metri su strada asfaltata fino all’inizio della salita all’eremo di San
Romedio su sentiero di ciottoli.
Tempo di percorrenza: dal Museo Retico di Sanzeno al Santuario, 45 minuti
Difficoltà: facile, sentiero pianeggiante. Ideale per grandi e piccini, inserito in una splendida cornice naturale
che conduce alla tranquillità mistica del Santuario
SANTUARIO DI SAN ROMEDIO, META DI PELLEGRINAGGIO E PASSEGGIATE DI CULTO IN TRENTINO
Il Santuario di San Romedio, nascosto tra le rocce presso Sanzeno, nel comune di Coredo, in Val di Non è frequentato da pellegrini e
da turisti. E' un luogo di pace e di conforto, ideale per passeggiate a contatto con una natura incontaminata. Oggi è custodito dai frati
dell'ordine di San Francesco d'Assisi.
SAN ROMEDIO TRA STORIA E LEGGENDA
Si narra di come, sul finire del X secolo, il nobile Romedio, erede della prestigiosa casata tirolese dei Thaur, chiamato dalla voce di Dio,
abbandonate tutte le sue ricchezze, decise di cercare la vera felicità e la comunione col Creatore ritirandosi in meditazione sulla cima di
una roccia. Alla sua morte, coloro che gli erano stati fedeli, scavarono nella roccia la sua tomba e diedero vita al culto che dal lontano
anno 1000 si perpetua ancor oggi.
A partire dalla prima cappella costruita nel XI secolo, la fede degli umili nel loro Santo protettore fece sì che venissero erette, nel corso dei
secoli, l’una sopra le altre tre piccole chiesette, due cappelle e sette edicole della Passione, vere custodi della sacralità e della magia del
santuario. La fede nel Santo in Valle era davvero forte, tanto che, a partire dal XV secolo le pareti lungo la scalinata che conduce alla
tomba dell’eremita, si riempirono di oggetti ex-voto, segni dell’immensa fiducia dei pellegrini nel potere del Santo.
L'ARCHITETTURA DEL SANTUARIO DI SAN ROMEDIO
Il primo edificio del santuario è posto in cima allo sperone di roccia. Nasce come chiesa-sacello sulla tomba di San Romedio, eremita,
vissuto su questa rupe verso al fine del X secolo. Ora è nascosta dietro la chiesa che svetta all'esterno con il suo campanile. La si può
raggiungere dopo aver superato 130 gradini.
Per cinquecento anni la roccia su cui sorge il santuario antico (X-XI sec.) rimane nuda, con una scalinata scoperta e qualche edicola ora
scomparsa. In basso si trovavano le stalle, i rifugi per i pellegrini e l'abitazione del custode.
Verso la fine del XV secolo e gli inizi del XVI il santuario si distende con la costruzione della Cappella di S. Giorgio e delle due chiese:
Chiesa di S. Michele e Chiesa di S. Romedio. Il campanile è dello stesso periodo, sempre in stile gotico-clesiano.
Nel 1700 il santuario si veste a festa, accompagnando il visitatore, pellegrino o turista, fino alla soglia della tomba del santo eremita
Romedio. Vengono ricostruiti ex-novo gli edifici a piano terra adibiti all'accoglienza dei pellegrini, alle stalle e ai fienili; le chiese vengono
abbracciate con la costruzione dell'appartamento dei "conti" e del ballatoio (1725), della sacrestia e della biblioteca in alto; la seconda
parte della scalinata viene coperta e poi animata con le edicole dei misteri della passione di Cristo; sopra la cappella di S. Giorgio si
innalzano due stanze di abitazione; infine viene eretto l'arco di ingresso al luogo sacro (1770).
Nel secolo XX si sono aggiunti: la Cappella dell'Addolorata e, all'esterno, il parcheggio con l'edicola di San Romedio (1907).
roccia realizzato sul tracciato di un antico canale irriguo ottocentesco che parte dal Museo Retico di Sanzeno.
L’itinerario ha inizio proprio di fronte all’edificio che ospita il Museo Retico, a nord dell’abitato di Sanzeno, dove è
possibile posteggiare l’auto. Dal lato opposto della strada statale si diparte una passerella in legno che dopo aver
costeggiato in parte le campagne coltivate a meleto penetra nella roccia percorrendo l’intero percorso dell’antico
canale irriguo.
La passeggiata si sviluppa in parte nella roccia e in parte su passerella di legno. E' una delle più
caratteristiche passeggiate in Trentino, alla portata di tutti: per vacanze con bambini, famiglie e anziani.
La lunghezza complessiva è di 2,5 chilometri. Alcuni scorci visti da questo “tunnel” aperto sullo strapiombo sono
veramente da non perdere e danno la sensazione di essere parte della roccia madre.
Il percorso termina nei pressi dell’VIII stazione della bella Via Crucis marmorea che da Sanzeno conduce sino al
santuario; da qui si continua ancora per pochi metri su strada asfaltata fino all’inizio della salita all’eremo di San
Romedio su sentiero di ciottoli.
Tempo di percorrenza: dal Museo Retico di Sanzeno al Santuario, 45 minuti
Difficoltà: facile, sentiero pianeggiante. Ideale per grandi e piccini, inserito in una splendida cornice naturale
che conduce alla tranquillità mistica del Santuario
SANTUARIO DI SAN ROMEDIO, META DI PELLEGRINAGGIO E PASSEGGIATE DI CULTO IN TRENTINO
Il Santuario di San Romedio, nascosto tra le rocce presso Sanzeno, nel comune di Coredo, in Val di Non è frequentato da pellegrini e
da turisti. E' un luogo di pace e di conforto, ideale per passeggiate a contatto con una natura incontaminata. Oggi è custodito dai frati
dell'ordine di San Francesco d'Assisi.
SAN ROMEDIO TRA STORIA E LEGGENDA
Si narra di come, sul finire del X secolo, il nobile Romedio, erede della prestigiosa casata tirolese dei Thaur, chiamato dalla voce di Dio,
abbandonate tutte le sue ricchezze, decise di cercare la vera felicità e la comunione col Creatore ritirandosi in meditazione sulla cima di
una roccia. Alla sua morte, coloro che gli erano stati fedeli, scavarono nella roccia la sua tomba e diedero vita al culto che dal lontano
anno 1000 si perpetua ancor oggi.
A partire dalla prima cappella costruita nel XI secolo, la fede degli umili nel loro Santo protettore fece sì che venissero erette, nel corso dei
secoli, l’una sopra le altre tre piccole chiesette, due cappelle e sette edicole della Passione, vere custodi della sacralità e della magia del
santuario. La fede nel Santo in Valle era davvero forte, tanto che, a partire dal XV secolo le pareti lungo la scalinata che conduce alla
tomba dell’eremita, si riempirono di oggetti ex-voto, segni dell’immensa fiducia dei pellegrini nel potere del Santo.
L'ARCHITETTURA DEL SANTUARIO DI SAN ROMEDIO
Il primo edificio del santuario è posto in cima allo sperone di roccia. Nasce come chiesa-sacello sulla tomba di San Romedio, eremita,
vissuto su questa rupe verso al fine del X secolo. Ora è nascosta dietro la chiesa che svetta all'esterno con il suo campanile. La si può
raggiungere dopo aver superato 130 gradini.
Per cinquecento anni la roccia su cui sorge il santuario antico (X-XI sec.) rimane nuda, con una scalinata scoperta e qualche edicola ora
scomparsa. In basso si trovavano le stalle, i rifugi per i pellegrini e l'abitazione del custode.
Verso la fine del XV secolo e gli inizi del XVI il santuario si distende con la costruzione della Cappella di S. Giorgio e delle due chiese:
Chiesa di S. Michele e Chiesa di S. Romedio. Il campanile è dello stesso periodo, sempre in stile gotico-clesiano.
Nel 1700 il santuario si veste a festa, accompagnando il visitatore, pellegrino o turista, fino alla soglia della tomba del santo eremita
Romedio. Vengono ricostruiti ex-novo gli edifici a piano terra adibiti all'accoglienza dei pellegrini, alle stalle e ai fienili; le chiese vengono
abbracciate con la costruzione dell'appartamento dei "conti" e del ballatoio (1725), della sacrestia e della biblioteca in alto; la seconda
parte della scalinata viene coperta e poi animata con le edicole dei misteri della passione di Cristo; sopra la cappella di S. Giorgio si
innalzano due stanze di abitazione; infine viene eretto l'arco di ingresso al luogo sacro (1770).
Nel secolo XX si sono aggiunti: la Cappella dell'Addolorata e, all'esterno, il parcheggio con l'edicola di San Romedio (1907).
Museo di Padre Kino
Esploratore, storico, rancher, ma soprattutto missionario e difensore dei diritti degli Indiani.
Queste parole, riportate alla base del monumento a lui dedicato, sintetizzano la vita di Padre Eusebio Chini nato a Segno, in Val di Non, nel 1645.
Il borgo natio di questa grande personalità non ha dimenticato il suo meritevole figlio. Nella piazza centrale di Segno, dedicata proprio al missionario, sorge la statua equestre di padre Kino, commissionata assieme ad altre due sorelle, che si trovano nelle città di Tucson e Magdalena, all’artista messicano Julian Martinez.
Alle spalle dell’effige sorge il Museo di Padre Kino, inaugurato nel 1996, fortemente voluto dagli abitanti di Segno in omaggio al loro grande fratello.
ORARIO:
da metà maggio a ottobre dal martedì alla domenica dalle 14.00 alle 18.00. Lunedì chiuso per riposo.
Per eventuali aperture nelle ore del mattino e nei rimanenti periodi: inviare una richiesta e-mail all'indirizzo
[email protected] oppure a [email protected] Info: tel. 0463 468248. Per informazioni: cell. 338 -1821918 (presidente)
Approfondimenti:
Padre Eusebio Chini abbandonò l’Italia nel 1681 per raggiungere il Messico dove trascorse il resto della sua vita impegnandosi in quella che divenne la sua grande impresa: l’evangelizzazione e lo sviluppo sociale, civile ed economico degli abitanti di Pimeria Alta. Nel corso della sua missione si fece soprattutto tutore dei diritti del popolo indiano contro la prepotenza dei conquistatori europei.
Alla sua morte, nel 1711, ha inizio il culto per la figura di questo gigante della fede. Dopo il ritrovamento dei suoi diari, le certezze sulla grandezza di questo piccolo sacerdote trentino aumentano ancora di più, la sua fama diventa mondiale, gli vengono titolate scuole, università, ospedali. Nel 1971 viene costruito un mausoleo per Padre Kino nella città di Magdalena voluto dall’allora Presidente degli Stati Uniti Johnson. A tutt’oggi è ancora in corso il processo di canonizzazione. www.padrekino.org
Esploratore, storico, rancher, ma soprattutto missionario e difensore dei diritti degli Indiani.
Queste parole, riportate alla base del monumento a lui dedicato, sintetizzano la vita di Padre Eusebio Chini nato a Segno, in Val di Non, nel 1645.
Il borgo natio di questa grande personalità non ha dimenticato il suo meritevole figlio. Nella piazza centrale di Segno, dedicata proprio al missionario, sorge la statua equestre di padre Kino, commissionata assieme ad altre due sorelle, che si trovano nelle città di Tucson e Magdalena, all’artista messicano Julian Martinez.
Alle spalle dell’effige sorge il Museo di Padre Kino, inaugurato nel 1996, fortemente voluto dagli abitanti di Segno in omaggio al loro grande fratello.
ORARIO:
da metà maggio a ottobre dal martedì alla domenica dalle 14.00 alle 18.00. Lunedì chiuso per riposo.
Per eventuali aperture nelle ore del mattino e nei rimanenti periodi: inviare una richiesta e-mail all'indirizzo
[email protected] oppure a [email protected] Info: tel. 0463 468248. Per informazioni: cell. 338 -1821918 (presidente)
Approfondimenti:
Padre Eusebio Chini abbandonò l’Italia nel 1681 per raggiungere il Messico dove trascorse il resto della sua vita impegnandosi in quella che divenne la sua grande impresa: l’evangelizzazione e lo sviluppo sociale, civile ed economico degli abitanti di Pimeria Alta. Nel corso della sua missione si fece soprattutto tutore dei diritti del popolo indiano contro la prepotenza dei conquistatori europei.
Alla sua morte, nel 1711, ha inizio il culto per la figura di questo gigante della fede. Dopo il ritrovamento dei suoi diari, le certezze sulla grandezza di questo piccolo sacerdote trentino aumentano ancora di più, la sua fama diventa mondiale, gli vengono titolate scuole, università, ospedali. Nel 1971 viene costruito un mausoleo per Padre Kino nella città di Magdalena voluto dall’allora Presidente degli Stati Uniti Johnson. A tutt’oggi è ancora in corso il processo di canonizzazione. www.padrekino.org
Chiesa della Natività di Maria
Le prime notizie storiche risalgono al 1327, anno in cui in un rogito notarile si fa menzione di proprietà della chiesa di S. Maria.
Si hanno notizie di successivi interventi di rinnovamento degli anni 1483 e 1548. Nel 1798 è stata ampliata con la costruzione del presbiterio e rinnovata nella facciata di mattina così come si presenta ora. Sulla stessa facciata, a destra del portale, una lapide ricorda Padre Eusebio Chini, missionario, esploratore e scienziato nato a Segno nel 1645 e morto in Messico nel 1721, dove svolse la sua opera di missionario e scienziato dove il suo ricordo è ancora molto venerato.
L’interno è partito in tre campate con le volte decorate da affreschi rappresentanti S. Giovanni Nopomuceno, Davide e il giudizio di Salomone. Sulla parete a nord rimangono tracce di antichi dipinti. La chiesa ha tre altari, tutti in legno. Il maggiore è del 1650 e la pala rappresenta la Natività di Maria. Il campanile è stato costruito nel 1582 con contorni e zoccolo in viva pietra culminante in una piramide esagonale.
Le prime notizie storiche risalgono al 1327, anno in cui in un rogito notarile si fa menzione di proprietà della chiesa di S. Maria.
Si hanno notizie di successivi interventi di rinnovamento degli anni 1483 e 1548. Nel 1798 è stata ampliata con la costruzione del presbiterio e rinnovata nella facciata di mattina così come si presenta ora. Sulla stessa facciata, a destra del portale, una lapide ricorda Padre Eusebio Chini, missionario, esploratore e scienziato nato a Segno nel 1645 e morto in Messico nel 1721, dove svolse la sua opera di missionario e scienziato dove il suo ricordo è ancora molto venerato.
L’interno è partito in tre campate con le volte decorate da affreschi rappresentanti S. Giovanni Nopomuceno, Davide e il giudizio di Salomone. Sulla parete a nord rimangono tracce di antichi dipinti. La chiesa ha tre altari, tutti in legno. Il maggiore è del 1650 e la pala rappresenta la Natività di Maria. Il campanile è stato costruito nel 1582 con contorni e zoccolo in viva pietra culminante in una piramide esagonale.
Cles
Cles è il capoluogo della Valle di Non: si trova a un'altitudine di 635 metri e conta circa 6500 abitanti. L'altopiano in cui è situato è dominato da una corona di montagne di eccezionale bellezza in cui spicca il Gruppo delle Dolomiti di Brenta. E' centro di notevole importanza storica; infatti ha origini molto antiche, che risalgono all'epoca neolitica e all'età del bronzo, come risulta da molti ritrovamenti archeologici. Il ritrovamento di numerose monete romane a Cles testimonia la grande importanza del paese già nei primi secoli dopo Cristo. Va ricordato che a Cles furono rinvenute, oltre alla Tabula Clesiana, altre cinque epigrafi sacre e una stele funeraria.
Intorno all'anno 1000 era il centro delle cinque gastaldie delle valli del Noce e a Cles era insediato un Gastaldo, carica che risale al periodo longobardo, con poteri amministrativi, giudiziari e talvolta anche militari.
Al tempo delle lotte fra i Vescovi di Trento e i Conti di Castel Tirolo, durante il XIII e il XIV secolo, la massima potestà delle due Valli, e di Cles, era un Capitano Tirolese, con poteri amministrativi e di giurisdizione. In quel tempo (1454) la comunità clesiana elaborò la sua prima Carta di Regola che in seguito venne modificata e riscritta (nel 1641 e nel 1771).
Dal 1004 al 1803 Cles restò sempre sotto il dominio dei principi vescovi di Trento.
Da Cles prese il nome la nobile famiglia dei Cles (latinizzati in Clesio), una fra le più antiche e illustri del Trentino. Essa diede i natali a Bernardo Cles, principe-vescovo di Trento e cardinale dal 1530, artefice del Concilio di Trento, consigliere di imperatori, principe rinascimentale, sagace giurista, costruttore di chiese e castelli, nonché promotore della ricostruzione di Castel Cles.
Già nel medioevo Cles era diviso in tre vici: Pezo o Pecio, Spinaceda e Prato, centri che conservano tuttora la loro vecchia denominazione. La comunità clesiana era però più allargata e comprendeva anche Maiano, Dres e Caltron (Regola del 1454).
Il vicus di Pez comprendeva le case che circondavano l'attuale piazzetta allargandosi brevemente verso le Moje e lungo Via Romana fino all'attuale Casa Juffman. Via Romana fu una mulattiera importantissima in quanto era la sola che congiungeva le due sponde del Noce. Passava per Pez e proseguiva lungo la campagna uscendo al bivio di Rallo e superato il Rio Bosco (Ribosch) scendeva verso il burrone, sul quale era stato costruito in epoca romana il Ponte Alto (pons altus).
Il vicus di Spinaceda formava un quadrilatero incluso tra le attuali Via G.B.Lampi e Via T.Claudio, delimitata lateralmente tra il Vicolo del Canalone e la piazzetta di Spinazzeda. Vi passava l'unica via che congiungeva la Traversara di Molveno e la Rocchetta con il Tonale e le Palade.
Il vicus di Prato attorno alla odierna Piazza Granda completava la civitas clesiana; prossimo a Spinaceda era però separato da orti e campagna. Comunicava con più difficoltà con Pez perché l'odierno Corso Dante era pascolo e impluvio di acque che si riversavano nella vasta palude formando un autentico lago poco profondo, che arrivava fino al Doss di Nancon, e poi un altro più grande, che giungeva fino al dosso di Tallao in prossimità di Tuenno.
Accanto ai tre vici medioevali vi erano inoltre quattro rioni, al tempo non considerati vici sia per la distanza dalla borgata sia per l'esiguità dei nuclei.
Il toponimo del paese è molto antico. Appare per la prima volta in un documento del 1144 (de Clesio). In seguito si trovano: nel 1163 de Cleise, nel 1191 de Cleis; nel XII secolo de Clavasse (ma questo toponimo sembra riferirsi a una località non lontana da Tassullo); nel 1205 de Cleisso; nel 1242 de Clexo.
Il nome della località deriva quasi di sicuro dal latino ecclesiae (chiese). In una pergamena di Mechel, del 1185, gli abitanti di Cles sono chiamati ecclesienses e ciò confermerebbe forse la derivazione dal latino. Non si può comunque escludere che vi sia un collegamento con il nome del torrente giudicariese Chiese (che in antico era chiamato Clesus); e non va dimenticato che il lago di Lugano, in una carta che risale probabilmente all'epoca romano-imperiale (la Tabula Peutingeriana del III -V secolo), ciene detto Clisius (dagli studi di G. Anzilotti Maistrelli).
Di notevole importanza storica è stato il ritrovamento, il 29 aprile 1869, in località "Campi Neri", della "Tavola Clesiana", editto dell' Imperatore Tiberio Claudio, emanato il 15 marzo 46 d. C. con il quale concedeva alle popolazioni degli Anauni, dei Sindoni e dei Tuliassi la cittadinanza romana. L'originale è una tavoletta di bronzo alta 50cm. Larga 38 cm, dello spessore di 5 mm., del peso di 7140 grammi ed è conservata presso il museo storico della città di Trento mentre una fedele riproduzione è collocata nella piazza antistante il Palazzo Assessorile.
Cles visse il momento del suo massimo splendore nel periodo in cui fu Principe Vescovo della città di Trento il suo più famoso cittadino, Bernardo Cles (1485-1534), artefice di numerosi contributi al decoro urbano e alla Pieve dell'Assunta, antica chiesa in stile gotico-rinascimentale.
Una stupenda vista panoramica di tutta la Valle di Non si può ammirare dalla montagna di Cles, raggiungibile in pochi minuti. Si tratta di oltre duemila ettari di bosco incontaminato con ricchissima flora e fauna.
Per diversi secoli l'economia rurale di Cles e delle valli del Noce oltre si è basata sulla coltivazione della patata, dell' orzo, della segale e della vite, e sull'allevamento del baco da seta e sulla relativa lavorazione. Il momento di maggior sviluppo è stato verso la metà del secolo XIX. Alla fiera di maggio , che durava tre giorni, arrivavano commercianti da tutta l'Italia e anche dalla Francia, interessati alla pregiata merce.
L'industria del baco occupava intere famiglie e nutriva gran parte della popolazione. A completare la produzione sorsero ben presto le filande dove i bozzoli venivano dipanati per trarne matasse di filo. L'economia precipitò nel 1857, quando una grave malattia, la pebrina, che si trasmetteva attraverso un microrganismo presente nelle foglie del gelso, colpì il baco, ma si ebbe una graduale ripresa dieci anni più tardi, con la sconfitta della malattia. A Cles nel 1877 erano in funzione sette filande: nel contesto urbano alcune sono visibili ancor oggi. Dopo il 1945 tuttavia, per le mutate condizioni internazionali dell'economia, l'allevamento del baco da seta fu soppiantato quasi interamente dall'agricoltura; unica filanda specializzata nella confezione di paramenti sacri che rimase in attività fino alla fine degli anni Settanta fu quella della famiglia Viesi.
Cles vanta antiche tradizioni anche nell' industria e nell'artigianato, per l'intraprendenza e la laboriosità della sua gente. Oltre all'artigianato tessile e la tessitura artistica del ricamo sacro, famosa era l'arte della ceramica e la produzione delle stufe a "ole" e vasellame, da cui deriva il soprannome di "scudelari". A queste attività ormai quasi del tutto abbandonate si aggiungono oggi l'industria e l'artigianato, che vivono un momento di espansione con l'insediamento di attività produttive sempre più numerose e qualificanti alla periferia dell'abitato che porta verso il vicino comune di Tuenno e sulla direttrice principale per Trento.
Oggi l'economia del paese si basa per molta parte sull'agricoltura e in particolare sulla produzione della mela. Cles e la Valle di Non si pongono tra le zone frutticole più produttive dell'intera Europa con risultati economici di grande rilevanza.
Il comparto frutticolo prosegue con successo sulla strada della qualità. A partire dal 1989 si sono organizzate strutture associative e si sono sottoscritti dei protocolli di autodisciplina nei quali sono comprese le norme riguardanti tecniche colturali per ottenere una produzione di qualità nel rispetto dell'ambiente e per tutelare quindi sia il prodotto che il consumatore.
I consorzi cooperativi, sempre più attenti alla dinamicità dei mercati, hanno modernizzato i metodi di conservazione e commercializzazione della frutta. La vendita delle mele "scendialbero" è stata sostituita dalla commercializzazione di prodotto calibrato e confezionato, con l'obiettivo della qualità integrale, requisito essenziale per competere su mercati sempre più esigenti.
Anche il turismo comincia a essere un settore importante della vita economica del paese, con l'offerta di interessanti manifestazioni culturali, sportive e di svago, che si integrano nell'offerta turistica della Valle di Non.
Altri monumenti storici di particolare importanza sono: la Chiesa di S.Vigilio nel rione di Pez (sec. VII-VIII); La chiesa conventuale dei Padri Francescani nel rione di Spinazzeda (sec.XVII); la Chiesa di S.Lucia nella frazione di Caltron (sec.XII); la Chiesa di S.Pietro nella frazione di Maiano (sec.XII); la Chiesa di S.Vito (sec.XIII); la Chiesa di S.Tommaso nella frazione di Dres (sec.XI); la Chiesa di S.Lorenzo nella frazione di Mechel (sec. XIII).
Il Palazzo Assessorile
E' citato per la prima volta nei documenti il 2 maggio 1356, anno in cui Io zio di Enrico di Sant’Ippolito, al tempo signore di Mechel, comperò da Giovanni di Arpone di Cles una casa-torre con cinta muraria. Tale struttura costituisce il nucleo originario del palazzo: costruita intorno al 1200, la torre, in pietra e provvista di feritoie, sorge sulle tracce archeologiche di un precedente analogo edificio, le cui fondamenta sono tutt’ora visibili attraverso le botole vetrate nella Sala della Colonna, al piano terra del palazzo. Inizialmente la torre era adibita a ponte di comunicazione visiva e a deposito per le derrate alimentari.
Gravemente danneggiata dalle rivolte contadine del Quattrocento (1407 e 1477), che distrussero il castello dei Sant’Ippolito a Mechel, la casa-torre passò alla nobile famiglia de Cles, che la trasformò nella sede del Capitano delle Valli del Noce. Si deve a Giorgio de Cles la ristrutturazione complessiva dell’edificio e l’inglobamento della casa-torre nell’attuale struttura con i volumi e l’elevazione ora visibili. Per celebrare il prestigio di famiglia, al termine dei lavori venne affrescato sulla facciata lo stemma de Cles (due leoni rampanti l’uno nell’altro, argento e rosso), datato 1484.
Nel 1538 il Principe Vescovo e Cardinale Bernardo Clesio lasciò in eredità il Palazzo al nipote favorito, Ildebrando, cavaliere e nobile dell’impero, capitano delle Valli del Noce e, dal 1529, marito di Anna Wolkenstein. A tali proprietari si devono le decorazioni rinascimentali che caratterizzano ancora oggi le sale del Palazzo.
Nel corso del Seicento, il Palazzo passò per un breve periodo alla famiglia Thun, la quale lo cedette alla Magnifica Comunità di Cles il 30 dicembre 1677.
Da questo momento in poi il Palazzo assunse funzioni amministrative e giudiziarie, come testimonia la lapide murata sopra il portale gotico nel 1679 ("...fu comperata dai clesiani acciò il foro assessorale fosse costantemente e per sempre nel borgo di Cles, perché prima non aveva un luogo fisso..."). Da qui deriva il nome di Palazzo Assessorile, in quanto sede degli uffici dei giudici delle Valli di Non e di Sole, detti appunto Assessori, e delle prigioni. L’Assessore delle Valli, un notabile esperto in legge, amministrava la giustizia per conto del Capitano ed indirettamente del Principe Vescovo, applicando gli statuti del 1407.
In realtà soltanto in epoca napoleonica, e più precisamente nel 1814, il terzo piano venne ufficialmente adibito a carcere e tale rimase fino al 1975. La modifica costrinse ad erigere divisorie all’interno delle antiche stanze signorili e a rivestire le pareti dei locali con un doppio tavolato in legno di larice. Grazie a questo espediente gli affreschi del terzo piano, commissionati da Anna Wolkenstein a metà del Cinquecento, sono rimasti conservati fino all’accurato restauro del palazzo, concluso nel 2009.
Nel corso del Novecento l’edificio ha perso la sua funzione giudiziaria, ereditata dall’antistante settecentesco Palazzo Dal Lago de Sternberg, oggi sede del tribunale, ed è diventato dapprima sede del municipio e del consiglio comunale, in seguito luogo per conferenze ed esposizioni d’arte.
E' citato per la prima volta nei documenti il 2 maggio 1356, anno in cui Io zio di Enrico di Sant’Ippolito, al tempo signore di Mechel, comperò da Giovanni di Arpone di Cles una casa-torre con cinta muraria. Tale struttura costituisce il nucleo originario del palazzo: costruita intorno al 1200, la torre, in pietra e provvista di feritoie, sorge sulle tracce archeologiche di un precedente analogo edificio, le cui fondamenta sono tutt’ora visibili attraverso le botole vetrate nella Sala della Colonna, al piano terra del palazzo. Inizialmente la torre era adibita a ponte di comunicazione visiva e a deposito per le derrate alimentari.
Gravemente danneggiata dalle rivolte contadine del Quattrocento (1407 e 1477), che distrussero il castello dei Sant’Ippolito a Mechel, la casa-torre passò alla nobile famiglia de Cles, che la trasformò nella sede del Capitano delle Valli del Noce. Si deve a Giorgio de Cles la ristrutturazione complessiva dell’edificio e l’inglobamento della casa-torre nell’attuale struttura con i volumi e l’elevazione ora visibili. Per celebrare il prestigio di famiglia, al termine dei lavori venne affrescato sulla facciata lo stemma de Cles (due leoni rampanti l’uno nell’altro, argento e rosso), datato 1484.
Nel 1538 il Principe Vescovo e Cardinale Bernardo Clesio lasciò in eredità il Palazzo al nipote favorito, Ildebrando, cavaliere e nobile dell’impero, capitano delle Valli del Noce e, dal 1529, marito di Anna Wolkenstein. A tali proprietari si devono le decorazioni rinascimentali che caratterizzano ancora oggi le sale del Palazzo.
Nel corso del Seicento, il Palazzo passò per un breve periodo alla famiglia Thun, la quale lo cedette alla Magnifica Comunità di Cles il 30 dicembre 1677.
Da questo momento in poi il Palazzo assunse funzioni amministrative e giudiziarie, come testimonia la lapide murata sopra il portale gotico nel 1679 ("...fu comperata dai clesiani acciò il foro assessorale fosse costantemente e per sempre nel borgo di Cles, perché prima non aveva un luogo fisso..."). Da qui deriva il nome di Palazzo Assessorile, in quanto sede degli uffici dei giudici delle Valli di Non e di Sole, detti appunto Assessori, e delle prigioni. L’Assessore delle Valli, un notabile esperto in legge, amministrava la giustizia per conto del Capitano ed indirettamente del Principe Vescovo, applicando gli statuti del 1407.
In realtà soltanto in epoca napoleonica, e più precisamente nel 1814, il terzo piano venne ufficialmente adibito a carcere e tale rimase fino al 1975. La modifica costrinse ad erigere divisorie all’interno delle antiche stanze signorili e a rivestire le pareti dei locali con un doppio tavolato in legno di larice. Grazie a questo espediente gli affreschi del terzo piano, commissionati da Anna Wolkenstein a metà del Cinquecento, sono rimasti conservati fino all’accurato restauro del palazzo, concluso nel 2009.
Nel corso del Novecento l’edificio ha perso la sua funzione giudiziaria, ereditata dall’antistante settecentesco Palazzo Dal Lago de Sternberg, oggi sede del tribunale, ed è diventato dapprima sede del municipio e del consiglio comunale, in seguito luogo per conferenze ed esposizioni d’arte.
Chiesa di S. Maria Assunta
Sulla piazza di Cles si affaccia l'antica e monumentale chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, ricostruita nello stile gotico-rinascimentale fra il 1512 e il 1522. La chiesa è ricordata per la prima volta nel 1128. Il portale maggiore reca nella lunetta un affresco dell'Annunciazione. È sormontato dallo stemma dei Clesio con iscrizione e da un rosone che alleggerisce la facciata dal tetto a due spioventi. Sulla porta di settentrione vi sono un altro stemma della famiglia Clesio e degli affreschi.
Sulla piazza di Cles si affaccia l'antica e monumentale chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, ricostruita nello stile gotico-rinascimentale fra il 1512 e il 1522. La chiesa è ricordata per la prima volta nel 1128. Il portale maggiore reca nella lunetta un affresco dell'Annunciazione. È sormontato dallo stemma dei Clesio con iscrizione e da un rosone che alleggerisce la facciata dal tetto a due spioventi. Sulla porta di settentrione vi sono un altro stemma della famiglia Clesio e degli affreschi.