04 giugno: Amici del Cammino Iacopeo d'Anaunia-Stava, il percorso della memoria
Chi ama la montagna sa che quando essa chiama l’uomo risponde. L’amore che lega l’uomo alla montagna è molto spesso controverso, a volte ricambiato, a volte meno. Dopo il richiamo c’è il dialogo. C’è la lunga esposizione, durante la camminata, la salita o quant’altro l’uomo vada a fare in montagna, del proprio io, nudo, a disposizione del vento, della pioggia, delle pietre, del sole, del silenzio. La montagna offre la sua muta spalla per le nostre invisibili lacrime, dandoci quello che forse nessuno psicologo sarà mai in grado di dare: la consapevolezza dei nostri mezzi, la coscienza di essere piccole gocce in una tempesta che però possono erodere le dure e millenarie rocce e modellarle a nostro piacimento, diventarne i padroni come il mare che albergava là ove ora ci sono solo roccia e terra. Il cammino verso l’alto diventa una specie di percorso etico, una conoscenza di se’ stessi che mai avremmo pensato di raggiungere prima di intraprendere il viaggio e rispondere alla chiamata.
Anche a Stava, Val di Fiemme, la montagna ha chiamato, per donare i suoi frutti all’uomo che doveva coglierli per il suo lavoro, con le sue mani capaci che hanno plasmato e accarezzato quella terra che li sosteneva. La terra montana che è stata plasmata ma anche graffiata, molte volte da quegli stessi uomini che forse non ne capivano il linguaggio. Nel corso degli anni, però, il richiamo si è affievolito, trasformandosi in un sussurro. E l’uomo, già volto con l’udito al suono tintinnante del benessere, non ha saputo più percepire il respiro di quel mondo che pensava suo a tempo indeterminato e troppo grande per esaurirsi. Ma la terra, la montagna, era ancora viva e volle gridare per avvertire l’uomo che qualcosa stava cambiando. Ancora l’uomo non potè udire quel grido perché assordato ed accecato dal suo nuovo Dio, invisibile ma padrone ormai di ogni senso dell’esistenza: il profitto. La conoscenza a volte fa male ma il profitto, finalizzato solo alla riproduzione di sé stesso, è una macchina di morte che non guarda in faccia nessuno e non conosce pietà. Chi sta in cima alla piramide economica guarda tutti con egoismo e bramosia, chi ha vuole sempre di più, chi possiede tende ad accaparrare, come un’alpinista che arriva in cima ad una vetta e, invece di godere della sua vittoria, pensa già alla prossima sfida, non riuscendo a godersi ciò che ha in funzione della bramosia per ciò che potrebbe avere. Ecco quindi che molti hanno poco e pochi hanno troppo. Per questo soprattutto e per molti altri motivi comunque inerenti a ciò che 268 persone sono morte, in una mattina di mezza estate: solo perché qualcuno ha voluto aggiungere alla sua piramide un altro gradino, facendo però crollare quello di sotto che, incolpevole, è precipitato uccidendo e distruggendo. Qualcuno ha voluto risparmiare dove non si doveva, perché la sicurezza delle persone, di cui negli ultimi tempi si parla molto, non ha prezzo ma qualcuno vuole sempre fare un’offerta.
Se si vuole vedere il buono in ciò che è successo a Stava, e nelle tante altre tragedie avvenute prima e dopo, è che l’idea della sicurezza delle persone e dell’ambiente in cui vivono e lavorano non sia una cosa secondaria. Molte leggi e regolamenti sono stati fatti a livello politico e giudiziario; alcuni di questi provvedimenti sono buoni, altri quasi ridicoli, altri persino troppo restrittivi.
Resta comunque il fatto che troppo spesso le grida di aiuto, non solo della montagna, vengono ascoltate solo quando qualche persona lascia la sua vita nelle mani del destino, che non è sordo e sente benissimo le grida ma non sente mai i passi dei soccorritori che arrivano in tempo.
Una evoluzione di quel richiamo primordiale dell’ambiente degradato si è unito al grido di dolore dei familiari delle 268 vittime di Stava, determinando una maggiore attenzione (almeno a livello italiano) alle tematiche dell’ambiente e della sicurezza. Ancora oggi, purtroppo, in svariati settori l’attenzione però non è ancora sufficiente ed anche quando l’invocazione si trasforma in grido disperato, per far voltare certe teste nella giusta direzione c’è bisogno del morto o, peggio, dei morti.
Anche a Stava, Val di Fiemme, la montagna ha chiamato, per donare i suoi frutti all’uomo che doveva coglierli per il suo lavoro, con le sue mani capaci che hanno plasmato e accarezzato quella terra che li sosteneva. La terra montana che è stata plasmata ma anche graffiata, molte volte da quegli stessi uomini che forse non ne capivano il linguaggio. Nel corso degli anni, però, il richiamo si è affievolito, trasformandosi in un sussurro. E l’uomo, già volto con l’udito al suono tintinnante del benessere, non ha saputo più percepire il respiro di quel mondo che pensava suo a tempo indeterminato e troppo grande per esaurirsi. Ma la terra, la montagna, era ancora viva e volle gridare per avvertire l’uomo che qualcosa stava cambiando. Ancora l’uomo non potè udire quel grido perché assordato ed accecato dal suo nuovo Dio, invisibile ma padrone ormai di ogni senso dell’esistenza: il profitto. La conoscenza a volte fa male ma il profitto, finalizzato solo alla riproduzione di sé stesso, è una macchina di morte che non guarda in faccia nessuno e non conosce pietà. Chi sta in cima alla piramide economica guarda tutti con egoismo e bramosia, chi ha vuole sempre di più, chi possiede tende ad accaparrare, come un’alpinista che arriva in cima ad una vetta e, invece di godere della sua vittoria, pensa già alla prossima sfida, non riuscendo a godersi ciò che ha in funzione della bramosia per ciò che potrebbe avere. Ecco quindi che molti hanno poco e pochi hanno troppo. Per questo soprattutto e per molti altri motivi comunque inerenti a ciò che 268 persone sono morte, in una mattina di mezza estate: solo perché qualcuno ha voluto aggiungere alla sua piramide un altro gradino, facendo però crollare quello di sotto che, incolpevole, è precipitato uccidendo e distruggendo. Qualcuno ha voluto risparmiare dove non si doveva, perché la sicurezza delle persone, di cui negli ultimi tempi si parla molto, non ha prezzo ma qualcuno vuole sempre fare un’offerta.
Se si vuole vedere il buono in ciò che è successo a Stava, e nelle tante altre tragedie avvenute prima e dopo, è che l’idea della sicurezza delle persone e dell’ambiente in cui vivono e lavorano non sia una cosa secondaria. Molte leggi e regolamenti sono stati fatti a livello politico e giudiziario; alcuni di questi provvedimenti sono buoni, altri quasi ridicoli, altri persino troppo restrittivi.
Resta comunque il fatto che troppo spesso le grida di aiuto, non solo della montagna, vengono ascoltate solo quando qualche persona lascia la sua vita nelle mani del destino, che non è sordo e sente benissimo le grida ma non sente mai i passi dei soccorritori che arrivano in tempo.
Una evoluzione di quel richiamo primordiale dell’ambiente degradato si è unito al grido di dolore dei familiari delle 268 vittime di Stava, determinando una maggiore attenzione (almeno a livello italiano) alle tematiche dell’ambiente e della sicurezza. Ancora oggi, purtroppo, in svariati settori l’attenzione però non è ancora sufficiente ed anche quando l’invocazione si trasforma in grido disperato, per far voltare certe teste nella giusta direzione c’è bisogno del morto o, peggio, dei morti.
Da qui si può vedere la valle di Stava che in basso entra in quella di Fiemme, con il Lagorai a fare da fantastico sfondo. Un luogo magico che in un giorno tremendo, il 19 luglio 1985, l’ingorda follia dell’uomo ha trasformato in tragedia e dolore.
Alle 12.22’55” del 19 luglio 1985 cede l’arginatura del bacino superiore, che crolla sul bacino inferiore abbattendolo e convogliando una massa fangosa immane che scende a valle a 90 km. all’ora, spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontra. Dopo 1’50” la colata raggiunge la periferia a nord di Tesero. A 2’ 49” si verifica la collisione con i ponti di Tesero. La massa fangosa, che ha percorso oltre 4 km, si incanala quindi nella stretta fessura a valle dei ponti, per raggiungere la valle dell’Avisio.
Stava è distrutta ed i morti sono 268.
Alle 12.22’55” del 19 luglio 1985 cede l’arginatura del bacino superiore, che crolla sul bacino inferiore abbattendolo e convogliando una massa fangosa immane che scende a valle a 90 km. all’ora, spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontra. Dopo 1’50” la colata raggiunge la periferia a nord di Tesero. A 2’ 49” si verifica la collisione con i ponti di Tesero. La massa fangosa, che ha percorso oltre 4 km, si incanala quindi nella stretta fessura a valle dei ponti, per raggiungere la valle dell’Avisio.
Stava è distrutta ed i morti sono 268.