"Monte Grappa tu sei la mia Patria" recita la scritta posta sul Sacrario sito sulla Cima del monte Grappa. Ed è indubbio, guardando una cartina, sapendola leggere ma soprattutto col senno di poi, che questa doveva essere la roccaforte che avrebbe evitato una Caporetto in bassa Valsugana e il crollo definitivo della linea difensiva italiana, con concreta possibilità di vedere gli austro-ungarici a Venezia. Ho trovato, spulciando in internet nei miei amati siti storici, l'intuizione di Luigi Cadorna che volle che tutto il Monte fosse una roccaforte, proprio in vista, forse, del momento critico. "Sulla vetta del monte Luigi Cadorna sostò a lungo pensoso. D’un tratto gli ufficiali che gli stavano attorno lo sentirono dire al colonnello del Fabbro, come alla fine di un duro ragionamento interiore: "Stia bene attento, colonnello il GRAPPA deve riuscire imprendibile. Deve essere fortissimo da ogni parte, non soltanto verso occidente. Anzi, metta la maggior cura nel rinforzare più che può la fronte rivolta a nord. Perché se dovesse avvenire qualche disgrazia sull'ISONZO, io qui verrò a piantarmi…". Un acume militare non comune che, tuttavia, non impedì la disfatta di Caporetto, in seguito al quale Luigi Cadorna, discusso per i suoi metodi assai rigidi nei confronti delle truppe e del suo assolutismo militare, fu sostituito dal generale Diaz. Molto discussa fu altresì la sua dichiarazione post-Caporetto, in cui, quasi a difendere il suo operato, declinava ogni responsabilità ai suoi sottoposti e alla vigliaccheria dei soldati, rei secondo lui di non essere stati pronti all'estremo sacrificio pur di fermare il nemico. Luci ed ombre di un militare sicuramente sorpassato ma a cui si deve la vittoria del Grappa. Partiamo da Baita Camol, provata anch'essa dalla baraonda meteo dei giorni addietro. Gli scurtoi, di cui Lucio è senza dubbio alfiere, non mancano ma ci riconducono sempre sul sentiero 100 del CAI che attraversa ed interseca più volte le stradine asfaltate che collegano il fondovalle alla vetta del massiccio. Raggiungiamo Cima Grappa (1754 m.) quasi in sordina, poco dopo mezzogiorno, tra la fitta nebbia che ci fa perdere contatto con il nostro duce nel tragitto interno del Sacrario. Raggiunto il Rifugio Bassano, ove soddisfiamo l'appetito e dove intravvediamo un leggero barlume soleggiato in una giornata altrimenti assai bigia (ecco il motivo delle foto in bianco e nero). Dopo pranzo visita alla Galleria Vittorio Emanuele ed al vicino Museo, il cui filmato, interessante esempio di retorica militarista del ventennio, ci fa "perdere" assai tempo, tantochè il ritorno alla Baita ed alle macchine arriva in pieno buio, alle 17.15. In totale circa 900 m. di dislivello e sei ore buone di cammino. Bellissima Escursione nonostante il tempo. Allego link per una mia precedente escursione sul Grappa dove ci sono anche video e audio. Seguirà, anche qui poi, qualche materiale in più nella pagina web. https://enricotrektrailcieloeilmondo.weebly.com/2-gennaio-2015-monte-grappa.html
Bassano, il Monte Grappa e il suo Sacrario
La strada del Grappa
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Arditi sul Grappa
La grande Guerra sul Grappa- La battaglia di arresto del nov.-dic. 1917
Ex base militare Cima Grappa
Qualcosa da leggere e da guardare
TERRA DI NESSUNO.. Autunno 1917 alture dei Sette Comuni.
Dopo l'offensiva dell'autunno del 1917, l'avanzata delle truppe austro-ungariche si era arrestata. Ora anche la zona di
Belluno era occupata dall'imperial-regio esercito della monarchia danubiana. Sulle alture dei Sette Comuni infuriavano
ormai le intemperie; lunghe nevicate e piogge torrenziali sferzavano a ritmo alterno le varie postazioni militari. Gli
avvallamenti si andavano sempre più riempiendo di neve ed il sole non era più in grado di far fronte ai primi rigori
dell'inverno imminente.
Nelle trincee della prima linea si trovava una compagnia alpina di Kaiserschützen. Il monotono servizio quotidiano
l'aveva ormai costretta a subire apatica l'irrigidimento d'una estenuante guerra di posizione. Alle poche ore di riposo
nell'umidità delle caverne, seguiva un turno di guardia in trincea. Fra i sacchi di sabbia, a distanza irregolare erano
collocati gli scudi di protezione con feritoie strette che permettevano ai tiratori scelti di spiare il nemico e di puntare
con massima precisione i loro fucili dotati di dispositivi di mira a cannocchiale.
Poi sino alle trincee italiane si estendeva la terra di nessuno: 20 – 30 metri in tutto. Anche nel settore italiano sacchi di
sabbia e scudi di protezione, coperti però da una serie di cavalli di Frisia; l'intreccio caotico dei reticolati sembrava un
infinito nastro arrugginito che avvolgeva alture ed avvallamenti; lo sbarramento, spezzato e dilaniato di giorno, veniva
riparato ogni notte. Confini in tempo di Guerra!
Una notte, all'improvviso i soldati austriaci odono provenire dalle trincee italiane le lunghe note di una canzone,
l'ascoltano; c'è tanta malinconia in quel canto, ma per i Kaiserschützen c'è anche qualcosa di tanto familiare. Lì di
fronte ci sono dei montanari come loro, alpini di Belluno, la cui terra natia ora è occupata dal nemico. Poi si sente una
voce che, in un buon tedesco, chiede informazioni sulla provenienza dei soldati austriaci. “Tirolesi” risponde la
sentinella. “Nel Tirolo, riprende l'Alpino, molti di noi vi hanno lavorato a lungo come muratori. Ora sono mesi che non
abbiamo più notizie delle nostre famiglie”. Dopo queste parole, fra i sacchi di sabbia, si vede sporgersi una testa e poi,
con un balzo, un Alpino esce dal suo riparo. La sentinella austriaca ed alcuni suoi camerati che avevano assistito al
dialogo, escono allo scoperto. Non una sparo! La pallida luce della luna, quasi adagiata sulle postazioni militari, delinea
le oscure sagome dei soldati.
“Non potreste far giungere la posta alle nostre mogli, ai nostri figli, giù a Belluno?” chiedono gli Alpini. “Tornate domani,
alla stessa ora” è la risposta dei Kaiserschützen. Così termina il dialogo e nella trincea italiana si sente ancora, ma per
breve tempo, un concitato bisbiglio sempre più tenue. Nel settore accanto una violenta raffica di mitragliatrice spazza il
territorio antistante.
Appena terminato il proprio turno di guardia la sentinella austriaca espone l'accaduto al comandante di Compagnia.
Questi telefona al Comando del Reggimento. Ognuno sa di correre il rischio di una grave punizione per aver trasgredito
il codice di guerra.
Il sole cala nuovamente dietro le creste dei monti oltre i quali si estende la Valsugana. Le batterie si scatenano in un
fuoco d'interdizione contro le opposte vie di comunicazione; da ambo le parti infatti sono in marcia le colonne dei
rincalzi e dei rifornimenti. L'eco delle esplosioni rimbalza fragorosamente da una roccia all'altra e si propaga fino ai
monti circostanti. Una rovinosa caduta di sassi è l'ultimo atto di questo fracasso indiavolato.
Con i nervi a fior di pelle la sentinella austriaca osserva la trincea italiana dove qualcuno, con estrema cautela, sta
spostando un sacco di sabbia. “Le nostre lettere per Belluno sono già scritte, grida una voce ormai nota, ve le portiamo
di là, oltre il reticolato”. “D'accordo!” risponde il Kaiserschütze. A questo punto vengono spostati numerosi sacchi di
sabbia; si fanno avanti due, tre Alpini che recano un sacchetto. Spostano alcuni cavalli di Frisia e con pochi passi
vengono a trovarsi al centro della terra di nessuno. Depongono il loro sacco, si girano e con un balzo scompaiono nella
trincea. Due Kaiserschützen, saltano fuori dai loro ripari e sollevano il sacco postale. Li accanto trovano dei pacchetti di
sigarette ed alcuni fiaschi di vino: un saluto d'oltre confine.
Poco dopo il sacco con le lettere si trova nella caverna del comandante di compagnia. Un soldato è ormai pronto per la
missione. Il comandante del reggimento ha redatto di proprio pugno un foglio di marcia per un corriere diretto a Belluno.
Sono già trascorse tre lunghe giornate ed ecco che il soldato ritorna finalmente alla base; ha portato a termine la sua
missione senz'alcuna difficoltà. Genitori, mogli e bambini, dopo settimane di attesa e di ansie interminabili, conoscono
la sorte dei loro cari. Il soldato, nel cuore della notte, aveva raggiunto segretamente famiglia per famiglia e, consegnate
le lettere degli Alpini, aveva atteso le risposte per portarle poi nella postazione.
Dopo una giornata di pioggia la nebbia si distende densa lungo i pendii dei monti. Infreddolite e con il bavero dei
cappotti rialzato, le sentinelle stanno di guardia ai loro posti. Improvvisamente qualcuno grida agli Alpini: “C'è posta!”.
“Veniamo!”. Ben presto il sacco postale, portato dai Kaiserschützen, si trova al centro della terra di nessuno. In
quell'istante la luna fa capolino fra le nubi irrequiete e inonda di luce il desolante paesaggio. Tre Alpini si curvano sul
sacco postale, due lo raccolgono. Da ambo le parti dozzine di occhi seguono la scena. Il terzo Alpino poi si volta in
direzione delle trincee austriache, s'irrigidisce sull'attenti e, alzando lentamente la mano destra alla fronte, porge in
segno di gratitudine il saluto militare; quel gesto di pochi secondi sembra interminabile tanto è solenne e ai soldati che
lo osservano dalle opposte trincee sembra che la sua sagoma nel magico gioco del chiarore lunare, si innalzi sempre
più in alto, lontana ormai da quel triste teatro di battaglie. Poi una nube scivola sotto la luna e la terra di nessuno è
nuovamente deserta come prima. Una sparatoria in lontananza infrange il silenzio e l'incanto di quella notte.
“Schaumann La Grande Guerra 1915/18”
Dopo l'offensiva dell'autunno del 1917, l'avanzata delle truppe austro-ungariche si era arrestata. Ora anche la zona di
Belluno era occupata dall'imperial-regio esercito della monarchia danubiana. Sulle alture dei Sette Comuni infuriavano
ormai le intemperie; lunghe nevicate e piogge torrenziali sferzavano a ritmo alterno le varie postazioni militari. Gli
avvallamenti si andavano sempre più riempiendo di neve ed il sole non era più in grado di far fronte ai primi rigori
dell'inverno imminente.
Nelle trincee della prima linea si trovava una compagnia alpina di Kaiserschützen. Il monotono servizio quotidiano
l'aveva ormai costretta a subire apatica l'irrigidimento d'una estenuante guerra di posizione. Alle poche ore di riposo
nell'umidità delle caverne, seguiva un turno di guardia in trincea. Fra i sacchi di sabbia, a distanza irregolare erano
collocati gli scudi di protezione con feritoie strette che permettevano ai tiratori scelti di spiare il nemico e di puntare
con massima precisione i loro fucili dotati di dispositivi di mira a cannocchiale.
Poi sino alle trincee italiane si estendeva la terra di nessuno: 20 – 30 metri in tutto. Anche nel settore italiano sacchi di
sabbia e scudi di protezione, coperti però da una serie di cavalli di Frisia; l'intreccio caotico dei reticolati sembrava un
infinito nastro arrugginito che avvolgeva alture ed avvallamenti; lo sbarramento, spezzato e dilaniato di giorno, veniva
riparato ogni notte. Confini in tempo di Guerra!
Una notte, all'improvviso i soldati austriaci odono provenire dalle trincee italiane le lunghe note di una canzone,
l'ascoltano; c'è tanta malinconia in quel canto, ma per i Kaiserschützen c'è anche qualcosa di tanto familiare. Lì di
fronte ci sono dei montanari come loro, alpini di Belluno, la cui terra natia ora è occupata dal nemico. Poi si sente una
voce che, in un buon tedesco, chiede informazioni sulla provenienza dei soldati austriaci. “Tirolesi” risponde la
sentinella. “Nel Tirolo, riprende l'Alpino, molti di noi vi hanno lavorato a lungo come muratori. Ora sono mesi che non
abbiamo più notizie delle nostre famiglie”. Dopo queste parole, fra i sacchi di sabbia, si vede sporgersi una testa e poi,
con un balzo, un Alpino esce dal suo riparo. La sentinella austriaca ed alcuni suoi camerati che avevano assistito al
dialogo, escono allo scoperto. Non una sparo! La pallida luce della luna, quasi adagiata sulle postazioni militari, delinea
le oscure sagome dei soldati.
“Non potreste far giungere la posta alle nostre mogli, ai nostri figli, giù a Belluno?” chiedono gli Alpini. “Tornate domani,
alla stessa ora” è la risposta dei Kaiserschützen. Così termina il dialogo e nella trincea italiana si sente ancora, ma per
breve tempo, un concitato bisbiglio sempre più tenue. Nel settore accanto una violenta raffica di mitragliatrice spazza il
territorio antistante.
Appena terminato il proprio turno di guardia la sentinella austriaca espone l'accaduto al comandante di Compagnia.
Questi telefona al Comando del Reggimento. Ognuno sa di correre il rischio di una grave punizione per aver trasgredito
il codice di guerra.
Il sole cala nuovamente dietro le creste dei monti oltre i quali si estende la Valsugana. Le batterie si scatenano in un
fuoco d'interdizione contro le opposte vie di comunicazione; da ambo le parti infatti sono in marcia le colonne dei
rincalzi e dei rifornimenti. L'eco delle esplosioni rimbalza fragorosamente da una roccia all'altra e si propaga fino ai
monti circostanti. Una rovinosa caduta di sassi è l'ultimo atto di questo fracasso indiavolato.
Con i nervi a fior di pelle la sentinella austriaca osserva la trincea italiana dove qualcuno, con estrema cautela, sta
spostando un sacco di sabbia. “Le nostre lettere per Belluno sono già scritte, grida una voce ormai nota, ve le portiamo
di là, oltre il reticolato”. “D'accordo!” risponde il Kaiserschütze. A questo punto vengono spostati numerosi sacchi di
sabbia; si fanno avanti due, tre Alpini che recano un sacchetto. Spostano alcuni cavalli di Frisia e con pochi passi
vengono a trovarsi al centro della terra di nessuno. Depongono il loro sacco, si girano e con un balzo scompaiono nella
trincea. Due Kaiserschützen, saltano fuori dai loro ripari e sollevano il sacco postale. Li accanto trovano dei pacchetti di
sigarette ed alcuni fiaschi di vino: un saluto d'oltre confine.
Poco dopo il sacco con le lettere si trova nella caverna del comandante di compagnia. Un soldato è ormai pronto per la
missione. Il comandante del reggimento ha redatto di proprio pugno un foglio di marcia per un corriere diretto a Belluno.
Sono già trascorse tre lunghe giornate ed ecco che il soldato ritorna finalmente alla base; ha portato a termine la sua
missione senz'alcuna difficoltà. Genitori, mogli e bambini, dopo settimane di attesa e di ansie interminabili, conoscono
la sorte dei loro cari. Il soldato, nel cuore della notte, aveva raggiunto segretamente famiglia per famiglia e, consegnate
le lettere degli Alpini, aveva atteso le risposte per portarle poi nella postazione.
Dopo una giornata di pioggia la nebbia si distende densa lungo i pendii dei monti. Infreddolite e con il bavero dei
cappotti rialzato, le sentinelle stanno di guardia ai loro posti. Improvvisamente qualcuno grida agli Alpini: “C'è posta!”.
“Veniamo!”. Ben presto il sacco postale, portato dai Kaiserschützen, si trova al centro della terra di nessuno. In
quell'istante la luna fa capolino fra le nubi irrequiete e inonda di luce il desolante paesaggio. Tre Alpini si curvano sul
sacco postale, due lo raccolgono. Da ambo le parti dozzine di occhi seguono la scena. Il terzo Alpino poi si volta in
direzione delle trincee austriache, s'irrigidisce sull'attenti e, alzando lentamente la mano destra alla fronte, porge in
segno di gratitudine il saluto militare; quel gesto di pochi secondi sembra interminabile tanto è solenne e ai soldati che
lo osservano dalle opposte trincee sembra che la sua sagoma nel magico gioco del chiarore lunare, si innalzi sempre
più in alto, lontana ormai da quel triste teatro di battaglie. Poi una nube scivola sotto la luna e la terra di nessuno è
nuovamente deserta come prima. Una sparatoria in lontananza infrange il silenzio e l'incanto di quella notte.
“Schaumann La Grande Guerra 1915/18”
Un di di gennaio del 2015.... (link esterno)